MUSEO VIVO

Agli inizi degli anni Settanta, in risposta alla crisi che vive, sul piano ideativo e strutturale, la ceramica vietrese sempre maggiormente rigirata in stanche declinazioni dello "stile Vietri", Ugo Marano dà vita al progetto Museo Vivo. La prospettiva è quella di sollecitare un coinvolgimento interdisciplinare, attraverso una proposta di libera creatività che vede coinvolte figure di operatori culturali diverse tra loro, in un laboratorio di ceramica al quale Marano affida la prospettiva di farsi possibile realtà di un museo della ceramica degli ultimi decenni del XX secolo.

Dal 1972 al 1976, Marano invita a lavorare presso la Ceramica Rifa di Matteo Rispoli a Molina di Vietri, artisti quali Giulio Turcato, Renato Guttuso, Amerigo Tot, Antonio Petti, Antonio Franchini, Gelsomino D'Ambrosio, Mario Chiari, Mario Carotenuto, Gianni Ballaro, Tomaso Binga, Melchiode, l’architetto Alberto Cuomo insieme ad intellettuali quali  Edoardo Sanguineti, Giulio Carlo Argan, Filiberto Menna, Giordano Falzoni e il musicista Stockhausen impegnato al Teatro San Carlo di Napoli.

 

È proprio ad un’immaginazione utopica che guarda Marano, non come dettato narcisistico, bensì come trama di un confronto collettivo o, meglio, del recupero di quella forza pluralista espressa dal gruppo. L’idea della fabbrica-bottega, laboratorio del pensiero, ma anche del museo come fucina, come spazio per la ricerca e per la sperimentazione, è per Marano l'elemento centrale del programma di lavoro.

 

È un progetto che mira a sconvolgere i ruoli del "sapere", i compartimenti dell'elaborazione del pensiero, attraverso il recupero dei valori della manualità, intesa quale dettato etico e quale patrimonio di conoscenze. Essa è riassunta dal simbolo del piatto, inteso come campo della collettività, oggetto (luogo) che accoglie il cibo (necessità dell’esistenza): il progetto prevede infatti la realizzazione di grandi piatti, del diametro di 70 centimetri, a tesa larga realizzati dal torniante Scannapieco.

Del progetto iniziale è allestita una prima mostra alla Galleria il Portico di Cava de’ Tirreni nell’ottobre del 1973: in essa sono esposti i piatti di Chiari, Falzoni, Marano, Rispoli, Petti, Carotenuto, Ballaro, Cuomo, Turcato, Binga, Menna, Sanguineti, Melchionda.

 

Nel 1996 Gillo Dorfles rilevava che una delle ragioni del ritorno della ceramica è «da ricercare nella sfera dell'arte: il fatto che artisti come Mirò, come Picasso, come Nino Caruso, come Ugo Marano, come Luigi Mainolfi o come cento altri si siano serviti della ceramica per fare anche opere molto grandi, gigantesche addirittura, mi fa pensare che sia veramente un mezzo che continuerà ad avere il diritto di esistere».

 

 

 

 

 

 

 

 

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